Al fianco delle donne contro la violenza dal 2006

In occasione della Giornata Mondiale contro la Violenza sulle donne, del prossimo 25 novembre, incontro Anna Zucca – Presidente dell’Onlus Donne e Futuro. E’ una mattina soleggiata ma fredda di inizio novembre, ci vediamo nella nuova sede associativa in Via Passalacqua 6B, a Torino e Anna mi accoglie con il suo consueto sorriso.

Conosco Anna da diversi anni e mi ha sempre stupito la sua capacità di sorridere, nonostante la sofferenza che la circonda. Dedicarsi, come fa lei, alla prevenzione e al contrasto della violenza sulle donne richiede una forza inimmaginabile. Mi mostra i nuovi locali in cui l’associazione si è trasferita recentemente e ci aggiorniamo l’un l’altra sulle vicende personali che ci hanno interessato nel frattempo. Così inizio con le domande:

Perché hai scelto di impegnarti proprio nella lotta contro la violenza sulle donne?

Donne e Futuro è nata nel 1998 dalla condivisione spontanea della medesima idea: sensibilizzare sul ruolo sociale della donna, ponendo l’accento sulla libertà di scegliere e sulla necessità di evitare giudizi e pregiudizi. Il primo progetto che abbiamo realizzato e ci ha fatto conoscere in tutta Italia, ha riguardato la raccolta di firme per una proposta di legge sulla scelta di destinazione dell’8 per mille. Eravamo convinte che solo una decisione consapevole e laica potesse portare alla creazione di fondi di aiuto e sostegno delle persone, che per le ragioni più disparate, si trovano in una situazione svantaggiata. Il risultato è stato molto soddisfacente per un’associazione piccolina e appena nata, anche se le firme raccolte non sono bastate. Successivamente il pacchetto da noi ideato è stato ripreso da due parlamentari, che lo hanno confezionato in una proposta di legge, nella cui relazione si raccontava la storia di questo nostro progetto. La proposta prevedeva un fondo, al cui interno vennero inseriti i fondi per il pagamento dell’assegno di mantenimento (qualora l’ex non adempisse) e per le vittime di violenza. Nel frattempo Eleonora Artesio ha costituito il Coordinamento Cittadino contro la violenza a cui hanno aderito tutte le associazioni torinesi. Iscrivendoci a questo coordinamento specifico abbiamo iniziato ad occuparci di violenza, anche se molto timidamente. Prima di tutto abbiamo studiato il fenomeno, ci siamo documentate sulle dinamiche e sulle metodologie e abbiamo partecipato a qualche progetto insieme ad altre associazioni e a chi era più bravo di noi. Arriviamo al 2006 decidendo di modificare lo statuto sociale e inserendo la gestione del centro antiviolenza tra le attività da svolgere.

Da allora ad oggi quante donne avete aiutato?

Siamo intorno a 1200 donne.

E cosa avete creato, oltre al centro antiviolenza?

Dunque il centro antiviolenza è il punto di ascolto dove la donna arriva anche solo per chiedere delle informazioni ed insieme cerchiamo di capire cosa vuole fare perché lavoriamo solo se la donna sceglie di lavorare con noi. Poi c’è una casa rifugio, una casa di secondo livello per donne sole e un appartamento per proseguire un percorso, per un nucleo di cinque persone, al fine di raggiungere l’autonomia.

Qual è la differenza tra il vostro e gli altri centri antiviolenza?

Noi mettiamo a disposizione uno spazio di libertà. Non è facile per una donna abbandonare il contesto violento perché ci si ritrova dentro senza accorgersene. Si inizia una storia e poi ci si ritrova in una relazione violenta. Una donna su tre, dai 16 ai 70 anni ha subito almeno un episodio di violenza. Questo è stato acclarato da due ricerche dell’Istat condotte a distanza di dieci anni una dall’altra: 2006 e 2016 su un campione di 25.000 telefonate. Quindi oltre il 90% delle violenze avviene all’interno di una relazione affettiva. Solo il 10% delle situazioni emerge. Questo ci fa capire la difficoltà ad uscirne. Se il 90% delle donne resta a subire è perché è difficile uscirne. Quindi tenendo conto di questo si capisce perché una donna viene, chiede aiuto, torna a casa, poi richiede aiuto, ritorna a casa, riprova. Fa l’elastico per un tempo che non si conosce, può essere due anni, subito, cinque anni… Di sicuro ci prova più volte. Viene perché ha avuto paura o è accaduto un episodio che l’ha colpita. Mi ricordo di una donna che decise di iniziare il percorso perché il figlio andando a scuola le disse “mamma tranquilla da grande papà lo uccido io”. Questo l’ha spaventata e ha deciso di chiedere aiuto. Quello che serve è creare un filo con la donna, quella che si può chiamare empatia, per condividere con lei un percorso senza imporglielo. Condividendo un percorso, anche se non sempre è una scelta consapevole, lei inizia a fidarsi e scopre che qua un posto c’è per lei.

I progetti per il futuro di questa associazione?

Per me la violenza ha una valenza culturale. L’origine della violenza sta in una società che identifica dei ruoli precisi, nei quali devi stare perché se no sei bollata, e questi ruoli sono delle gabbie. Ci si aspetta qualcosa che poi magari viene disatteso perché fondamentalmente anche la donna è persona con i suoi pregi, difetti e criticità. Tenuto conto di questo i miei progetti sono aiutare sempre più donne, sensibilizzare l’opinione pubblica a partire dalle scuole e formare ancora più operatori del settore per fornire l’idoneo supporto.

L’intervista è finita e ricambio il suo ampio sorriso, ma nel cuore ho un rammarico: non avere la forza di fare di più per donne che in fin dei conti sono come me.

 

 

Luciana Spina

Luciana Spina

Luciana Spina, tante cose, ma qui soltanto blogger. Adoro osservare la realtà. Lo spirito critico e la concretezza sono, nel bene e nel male, le mie caratteristiche.

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