Eccoci a inizio giugno, a un passo dalla fine dell’anno scolastico e dall’inizio delle sognate vacanze, ma a cosa servono le vacanze? Sono solo l’intervallo tecnico tra un anno scolastico e il seguente? Rappresentano anche qualcosa di diverso oltre che un’esigenza organizzativa del sistema scolastico?
In Italia l’anno scolastico dura 200 giorni, contro una media europea di 170 giorni. Lo studio intitolato The organization of school time in Europe. Primary and General Secondary Education – 2018/19 ha indagato in 38 Paesi europei il numero di giorni di scuola – variabile tra il minimo di 156 in Albania e il massimo di 200 di Italia e Danimarca. L’organizzazione delle vacanze varia, come noto, nell’anno solare, con inizio a giugno della pausa più lunga, quella estiva; ad agosto però in 10 Stati europei ricominciano le lezioni. Il periodo di vacanze estive dura da un minimo di 6 settimane consecutive in alcuni Paesi del nord Europa, ad un massimo di 12-13 settimane dell’Italia, in cui le vacanze si concentrano quasi tutte nel periodo estivo. A ben vedere, non hanno tutti i torti gli altri Paesi europei in cui la maggior frammentazione dei periodi di pausa, accompagna meglio le esigenze di recupero psicofisico dei ragazzi.
In Italia il calendario scolastico viene determinato da ciascuna Regione (D. Lgs. 112/1998), fermo restando il numero minimo di 200 giorni di attività didattica. Ora scopriamo insieme a cosa servono le vacanze, ascoltando i nostri figli e la scienza.
A cosa servono le vacanze? Ce lo dicono i bambini.
Parlando di vacanze scolastiche, vogliamo occuparcene orientando lo sguardo verso i primi destinatari di tante energie spese ogni giorno dagli insegnanti di ogni ordine e grado.
Chi ha figli o lavora con i bambini ha ben presente lo sguardo, spesso svagato, dipinto sul volto nelle settimane da Pasqua in avanti; è sempre più difficile convincerli a sedersi alla scrivania per fare i compiti, di fronte alle tentazioni più che comprensibili di fermarsi al parco “ancora 10 minuti” nei pomeriggi di sole. La stanchezza ovviamente si fa sentire, e nei bambini si esprime con svogliatezza, tempi più lunghi per finire i compiti, talvolta con irrequietezza, fino a comportamenti poco adeguati al contesto scolastico, anche da soggetti generalmente irreprensibili.
Tutti abbiamo esperienza di cosa succede alla nostra mente nelle occasioni in cui dobbiamo rimanere concentrati per un tempo piuttosto lungo: una conferenza, un corso di formazione, un dibattito. Dopo un po’ di tempo, che varia anche in base alla nostra “abitudine” alla concentrazione, cominciamo a pensare ad altro, i pensieri si staccano dalla situazione e improvvisamente ci sorprendiamo a pensare a cose diverse da quelle cui dovremmo stare attenti. Ecco, se nel bel mezzo di una conferenza, ci viene in mente che abbiamo terminato il dentifricio o che dobbiamo pagare l’assicurazione dell’auto, è chiaro che abbiamo terminato le risorse attentive e la nostra mente comincia a vagare senza scopo predeterminato.
A cosa servono le vacanze? Ce lo dice la scienza.
Il sistema attentivo, localizzato anatomicamente nelle regioni frontali del nostro cervello, comprende quelle che vengono definite:
- attenzione selettiva, cioè la capacità di estrarre un focus di attenzione dal contesto generale (ad esempio leggere con la televisione accesa);
- attenzione sostenuta, cioè la capacità di rimanere concentrati su un focus per un tempo prolungato (le lezioni scolastiche ne sono esempio privilegiato);
- attenzione divisa, quando dobbiamo prestare attenzione a più elementi (ad esempio quando siamo alla guida dell’auto e intanto chiacchieriamo con un amico).
Dobbiamo inoltre considerare che la “quantità di attenzione” è finita e variabile a seconda dell’età e di altri fattori che ne possono aumentare o ridurre l’ampiezza.
E’ una quantità finita, nel senso che una volta esaurita, ha bisogno di essere recuperata prima di poterne nuovamente disporre (ecco quindi la necessità di dosare i tempi di concentrazione attraverso pause brevi, lunghe o periodi di vacanza, appunto).
E’ una quantità variabile nel senso che cambia nel corso della vita, della giornata o degli eventi. Con l’età si verifica un aumento progressivo delle risorse attentive che, da pochi minuti di concentrazione a 4-5 anni, si estende al suo massimo verso i 20 anni con la maturazione delle funzioni esecutive, ossia le capacità di organizzazione e pianificazione, verifica del risultato, controllo degli impulsi, soluzione di problemi.
Nella giornata vi è un’oscillazione delle capacità attentive, variabile a seconda delle abitudini e di un bioritmo personale, per il quale alcuni ad esempio, rendono molto se studiano al mattino, mentre altri preferiscono studiare fino a tarda sera.
Vi sono poi occasioni o eventi della vita in grado di compromettere, temporaneamente, le capacità di attenzione. Basti pensare ad un momento di crisi personale, di debolezza psicologica o fisica legata ad una preoccupazione importante o una malattia, un evento traumatico. Nei casi più gravi, come un ictus o un trauma cranico, le capacità attentive possono essere ridotte anche in modo permanente. In queste situazioni, è come se il nostro cervello si ponesse spontaneamente in situazione di riserva e viaggiasse al minimo, per usare una metafora automobilistica. E’ proprio questo che avviene, il sistema risparmia energie per non sottrarle alle funzioni più importanti, ossia preservare il delicato equilibrio del Sistema Nervoso Centrale e le funzioni vitali primarie.
Bene, questo spunto neurobiologico per comprendere a cosa servono le vacanze. Per farci comprendere come le vacanze siano realmente necessarie da un punto di vista psicofisico, sia per i bambini che frequentano la scuola che per gli adulti che quotidianamente, sono divisi tra doveri e impegni sempre più pressanti. Il ritagliarsi un periodo di evasione, di stacco nasce da un’esigenza effettiva da tutti i punti di vista. Lo scopo è quello di perseguire e mantenere uno stato di salute globale, come raccomanda anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ossia “uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale” e non semplicemente “assenza di malattia o infermità”.
Ne parleremo ancora.
Visto il ruolo primario dell’attenzione – non può esserci memoria né apprendimento di alcun genere senza attenzione – noi Amiche di Luciana pensiamo di dedicare ulteriori spazi all’argomento, dando spunti di attività:
- ai genitori per aiutarli ad allenare la capacità di concentrazione dei figli e gestire meglio il momento dei compiti;
- agli insegnanti della scuola dell’infanzia e primaria, per organizzare le attività didattiche con una visione più consapevole delle riserve o delle debolezze attentive dei propri alunni.