Difficoltà a scuola: cosa dice la legge?

Dopo aver descritto ai genitori come approcciare eventuali difficoltà a scuola, mi rivolgo ora, agli insegnanti e in particolare a quelli della scuola primaria. Sono loro, infatti, i testimoni delle prime fasi dell’apprendimento e conseguentemente delle prime fatiche dei nostri cuccioli. Inoltre, in tempi di allarmismo su presunte “epidemie” di dislessia, è doveroso dare qualche spiegazione in più, proprio a chi si trova a destreggiarsi oggi con 3/5 alunni per classe con diverse esigenze educative.

Con la Legge 170 del 2010 è stato avviato in Italia un percorso di tutela crescente dei bambini con Disturbo Specifico di Apprendimento (DSA) che, nel tempo e con alcune differenze regionali, si è esteso ad altre situazioni di difficoltà scolastiche dovute a cause diverse e anche temporanee, i cosiddetti Bisogni Educativi Speciali (BES).

Il percorso che conduce dal riconoscimento di “problemi a scuola” ad un certificato di diagnosi, con le relative misure di tutela, si snoda spesso in varie tappe e tempistiche che possono essere di pochi mesi fino ad oltre un anno solare. Ciò significa che talvolta – e non sono casi isolati – i bambini rimangono senza tutela anche per due anni scolastici, a seconda dei singoli casi e delle indicazioni che le famiglie ricevono per affrontare i vari passaggi dell’iter burocratico previsto.

Proprio per abbreviare i tempi di diagnosi, la Regione Piemonte nel 2014 ha raccolto l’impegno del sistema scolastico e di quello sanitario per arrivare entro 6 mesi dall’invio ad un inquadramento diagnostico completo ed effettivo.

Attraverso la compilazione della parte A dell’Allegato 2 del cosiddetto Accordo Scuola-Famiglia, sin dalla fine del primo quadrimestre del secondo anno scolastico, gli insegnanti hanno l’opportunità-dovere di analizzare le abilità di quei bambini che – rispetto al gruppo classe – manifestano tempi eccessivamente prolungati e difficoltà di acquisizione dei meccanismi della letto-scrittura. Compilando questa scheda, vengono analizzati i dettagli di ciò che non sta procedendo come per il resto della classe, dando modo di avviare precocemente un percorso di potenziamento delle aree più critiche.

Contemporaneamente, questo strumento permette alla scuola di portare a conoscenza della famiglia delle difficoltà del bambino ed eventualmente di suggerire di rivolgersi ad uno specialista.

Al termine di un adeguato periodo di tempo per mettere in atto le “azioni di recupero e potenziamento”, nel secondo quadrimestre del secondo anno, la scuola dovrà compilare la parte B dell’Allegato 2 riportante le difficoltà persistenti e consegnarla alla famiglia che procederà ad attivare il percorso diagnostico.

E dopo che succede?

La famiglia potrà consegnare la documentazione al Servizio Sanitario competente nelle sedi territoriali di Neuropsichiatria Infantile, presso il quale verrà effettuato il percorso clinico-diagnostico in un arco temporale auspicato di 6 mesi. In alternativa potrà rivolgersi a professionisti privati e richiedere infine la convalida della diagnosi.

La scuola, dal canto suo, può attivare – in qualsiasi momento del percorso scolastico – le misure di tutela più opportune, elaborando un documento chiamato Piano Didattico Personalizzato (o PDP), con l’obiettivo primario di superare le difficoltà dell’alunno e garantirgli di poter seguire al meglio e in serenità le attività scolastiche, anche in assenza di certificazione diagnostica di alcun tipo.

Quale diagnosi?

Il percorso diagnostico si conclude con il rilascio di un certificato che vede distinguere:

→        i disturbi specifici dell’apprendimento (DSA), ossia difficoltà nell’acquisire gli automatismi di base della lettura, scrittura, della cognizione numerica e del calcolo che si presentano in assenza di altre cause primarie, in soggetti con capacità intellettive nella norma. La diagnosi di DSA nelle aree di lettura e scrittura deve avvenire solo dopo la fine della II° primaria, mentre quella di DSA nell’area del calcolo dopo la fine della III° primaria.

→        i disturbi dell’apprendimento non-specifici, ossia difficoltà scolastiche che derivano secondariamente da situazioni neuropsicologiche, neurologiche o di altro tipo (ad esempio: disturbo di linguaggio, ritardo cognitivo, sindromi, autismo, deficit sensoriali, ecc…). La diagnosi può essere fatta in qualunque momento del percorso scolastico o anche precedentemente l’inizio della scolarizzazione.

Credo sia importante precisare che la diagnosi viene effettuata da equipe multidisciplinari composte da professionisti specializzati, applicando criteri e protocolli condivisi a livello nazionale da specialisti e rappresentanti del mondo scientifico sulla base di evidenze e studi internazionali, riunitisi al tavolo della Consensus Conference.

Quelli che fino a pochi decenni fa erano etichettati come “svogliatezza”, “scarso impegno”, “incapacità o scarsa intelligenza” ora sono stati riconosciuti come differenze specifiche di apprendimento, per citare un’espressione del prof. Giacomo Stella.

Sappiamo ora che molti degli studenti che abbandonavano presto gli studi con l’appellativo di “non è portato, mandiamolo a lavorare” potevano essere persone con DSA. Numerose testimonianze di adulti dislessici confermano la loro fatica nel percorso scolastico, quando ancora non esistevano tutele e la scuola non si interrogava su modalità alternative con cui formare gli alunni.

Personalmente ritengo che tanta parte delle difficoltà nell’affrontare diversi modi per apprendere, sia racchiusa nel Sistema Scolastico che molto spesso tende a proporre metodi didattici consolidati ma obsoleti. Detto sistema tra l’altro, fatica ad applicare nuove tecnologie che permetterebbero di superare il canale apparentemente obbligato della letto-scrittura.

Studi e testimonianze confermano che esistono vari stili di apprendimento, da quello uditivo-verbale a quello esperienziale, insieme a possibilità didattiche alternative già sperimentate in altri Paesi europei.

Allora forse, per quel 3-5% di alunni con DSA e altrettanti con BES, potremmo anche considerare popolazioni ben più numerose di insegnanti a cui concedere (e chiedere) nuovi stimoli, nuovi strumenti per compiere una delle più straordinarie scommesse: la formazione dei cittadini del futuro, degli individui che sceglieranno quale mondo abitare, delle menti e del loro modo di pensare.

Se non imparo nel modo in cui tu insegni,

allora insegnami nel modo in cui io imparo.

Data la complessità e la vastità degli argomenti che toccano norme e documenti e coinvolgono insegnanti, alunni e genitori, nonché la necessità di adattamenti didattici, la redazione è disponibile a raccogliere tramite la mail info@test.leamichediluciana.it domande, richieste di chiarimenti e di approfondimento a cui risponderà attraverso l’organizzazione di giornate formative o attività di screening.

Daniela

Daniela

Daniela Filippini. Laureata in Logopedia con lode presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia di Torino, mi occupo prevalentemente di disturbi del linguaggio e dell’apprendimento, in collaborazione con la Fondazione don Carlo Gnocchi Onlus e il poliambulatorio Oasimedica. Nel tempo libero le mie passioni sono il cinema, il teatro e gli sport di montagna.

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