Pugilato femminile, facile esultare ora, ma troppe discriminazioni

“Anche le donne possono fare pugilato. Noi non avevamo dubbi, molti sì!” – a dirlo è Irma Testa, medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Tokyo 2020 nella categoria “peso piuma” del pugilato femminile.

La storia di questo sport è racchiusa tutta in questa frase.

La verità è che il pugilato femminile ha visto la meritata luce dei riflettori e la fama molto tardi a causa di radicate opinioni sociali ormai anacronistiche e pienamente discriminatorie.

Gli sport da combattimento in genere sono considerati non adatti a bambini e donne perché sono ritenuti troppo violenti.

Le numerose boxeures sparse nel mondo dimostrano al contrario, grinta, determinazione, coraggio e l’intelligenza di riconoscere quando è arrivato il momento di raggiungere il proprio obiettivo. Tutto ciò non ha nulla a che vedere con la violenza.

pugilato femminile
Foto tratta da Google

Le pugili nello sport italiano

Ora applaudire i risultati è troppo comodo. In pochi hanno messo la propria faccia per far sì che le tante sportive ottenessero il tesseramento presso la Federazione Pugilistica Italiana. C’è voluta una modifica legislativa nel 2001.

Ma dov’erano tutti gli altri atleti, i tecnici, i dirigenti sportivi e i fans prima del 2001 per mettere fine a questa forma di discriminazione?

Chissà…

Di fatto le donne pugili si allenavano nelle poche palestre sparse sul territorio italiano e combattevano in competizioni estere, anche se meritavano la nostra attenzione.

Nel 2001 la svolta grazie ai Ministri delle Pari Opportunità, Katia Belillo e della Sanità Umberto Veronesi che ottennero la modifica della legge del 1971 che prevedeva controlli sanitari solo per i pugili uomini, ammettendo finalmente le boxeures all’attività agonistica.

Così è stata spianata la strada ai tesseramenti presso la Federazione Pugilistica Italiana e la prima tesserata fu Maria Moroni che nel 2013 al Fatto Quotidiano, aveva giustamente dichiarato: “La boxe può piacere o no, ma devi dare alle donne la possibilità di scegliere se salire sul ring o no!.

Il pugilato femminile tra le discipline olimpiche

Oggi è altrettanto facile scrivere titoloni sui giornali sulla campionessa olimpica Irma Testa, ma il pugilato femminile è divenuto disciplina da disputarsi ai giochi solo nel 2009.

Tra le motivazioni addotte per giustificarne l’esclusione c’era niente meno che la sindrome pre-mestruale, secondo la quale le donne sarebbero emotivamente instabili. Questo renderebbe pericoloso lo sport praticato per la salute delle atlete.

Nel 2009 l’International Boxing Association cambiò orientamento includendo la boxe femminile tra gli sport olimpici e decise la suddivisione in tre categorie: 51, 60 e 75 kg e che in nessuna di queste ci sarebbe stata la medaglia d’argento, bensì due bronzi.

A Londra 2012, per la prima volta nella storia dei Giochi Olimpici, venivano dunque allestiti anche i ring per i combattimenti delle atlete della boxe.

In quell’occasione la medaglia d’oro finì nelle mani della giovanissima Clarissa Shields che doppiò l’obiettivo a Rio 2016.

Clarissa Shields
Foto tratta da Google

Quest’anno invece, l’oro è rimasto in Giappone ed è andato alla pugile Sena Irie che ha sconfitto la filippina Nesthy Petecio. Mentre, contro quest’ultima la nostra Irma Testa ha perso.

In realtà, Irma Testa ha vinto insieme a tutte le professioniste del pugilato del nostro paese e per quelle che lottano ogni giorno per riscattarsi dall’ambiente che le circonda e dalle discriminazioni chiare o velate ancora perpetrate.

Foto di copertina tratta da repubblica.it

Luciana Spina

Luciana Spina

Luciana Spina, tante cose, ma qui soltanto blogger. Adoro osservare la realtà. Lo spirito critico e la concretezza sono, nel bene e nel male, le mie caratteristiche.

Torna in alto