Tullia Todros e la medicina materno fetale

Questo mese la rubrica “Lo Specchio di Venere” omaggia una straordinaria donna della medicina: Tullia Todros. Abbiamo incontrato con piacere la ginecologa piemontese che ha contribuito allo sviluppo e alla diffusione della medicina materno-fetale, diventando un punto di riferimento per gli operatori sanitari impegnati in ostetricia.

Tullia Todros si è laureata in Medicina e Chirurgia nel 1973 e ha conseguito la specializzazione in ostetricia e ginecologia nel 1977. Ha iniziato subito a lavorare all’ospedale Sant’Anna di Torino fino a diventare il Direttore di una delle Strutture Universitarie Complesse di Ginecologia e Ostetricia del Sant’Anna.

 

Quanto è stato duro affermarsi dal punto di vista lavorativo, negli anni 70-80?

È’ stato pesante. Devo dire che come donna, mi sentivo sempre in dovere di esserci, di non far pesare che alle spalle avevo anche delle responsabilità famigliari, un bambino piccolo. Se c’era da coprire una guardia o sostituire un collega all’ultimo minuto non mi tiravo mai indietro. Proprio sempre per evitare di farmi criticare.

 

La vita professionale di Tullia Todros si è svolta sia in reparto che all’Università dove si è dedicata dapprima alla ricerca poi all’insegnamento. Sia in ospedale che negli studi si è sempre occupata di Medicina Materno-Fetale. Così grazie alla dott.ssa Tullia Todros iniziamo a comprendere qualcosa in più.

Cos’è la Medicina Materno Fetale?

È un termine più completo e attuale per dire ostetricia. Noi siamo specialisti in ginecologia e ostetricia, tuttavia la ginecologia e l’ostetricia sono due branche in realtà molto diverse. La ginecologia si occupa di malattie dell’apparato genitale femminile, compresi i tumori.

L’ostetricia si occupa di gravidanze. In comune hanno soltanto l’apparato genitale femminile, la donna. Negli anni della mia carriera la parte che riguarda la gravidanza si è molto evoluta. Una volta noi non avevamo accesso al feto.

Di fatto si seguiva la madre, non molto, e tutta l’assistenza era limitata al momento del parto.

Poi negli anni si è sviluppato, da un lato, il concetto che la gravidanza deve essere seguita nel suo corso, fin dall’inizio, e dall’altro quello che si è definito come medicina fetale. Si è rivolta di più l’attenzione al feto. Si sono diffuse indagini per anticipare le patologie che il feto avrebbe potuto avere sia durante la gravidanza sia una volta nato. La madre è stata messa in secondo piano. A un certo punto bisogna invece, chiarire che c’è anche una madre e che

la salute del feto dipende dalla madre, ma anche la salute della madre dipende dal feto.

Quindi usare il termine “medicina materno-fetale” veicola l’idea che chi pratica questa medicina deve occuparsi di due soggetti. A differenza di qualunque altra branca medica, deve occuparsi della madre e del bimbo e deve occuparsene in modo complessivo.

Secondo Lei oggi, le donne corrono più rischi rispetto al passato in una gravidanza?

Infinitamente meno rispetto ai secoli passati, anche soltanto rispetto a 50 anni fa. Bisogna però, essere attenti, perché in questi ultimi anni i fattori di rischio stanno aumentando: le gravidanze in età avanzata (oltre i 40 anni), l’obesità, le gravidanze da fecondazione assistita, le gemellari, i tagli cesarei.

 

L’attenzione, del medico Tullia Todros, per la madre, da non vedere solo come un’incubatrice di vita è stata messa nella ricerca e trasmessa agli studenti che ha incontrato in qualità di Professore Ordinario di Ginecologia e Ostetricia.

In tanti anni di ricerca, qual è la scoperta che l’ha più stupita o soddisfatta?

Tutti gli studi che ho fatto, nei primi anni del mio impegno nella ricerca, erano stupefacenti. Quando ho iniziato la specialità nell’Istituto di Patologia Ostetrica era appena arrivato uno dei primi ecografi in Italia. Per la prima volta era possibile vedere il feto nel suo ambiente naturale, l’utero.

È stato entusiasmante studiare come cresce il feto durante tutta la gravidanza.

Studiare quando il feto inizia a muoversi (già a partire da 5 settimane dopo il concepimento) e scoprire che ciascun feto ha già una sua modalità di muoversi ben definita: i feti che si muovono tanto all’inizio della gravidanza continueranno a muovere tanto, anche dopo la nascita, quelli più quieti continueranno ad essere quieti; studiare come si sviluppano cuore e cervello.

La soddisfazione maggiore è stata di aver portato sempre avanti studi, sia nella ricerca di base sia in quella clinica, che hanno contribuito a migliorare le cure o a comprendere meglio alcune malattie della madre e/o del feto, nello specifico le malattie che sono legate allo sviluppo della placenta.”.

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All’apice della sua carriera, Tullia Todros ha deciso di candidarsi alle elezioni politiche con il partito Liberi e Uguali. Non è però stata eletta in Senato.

La politica è stato un colpo di fulmine o la maturazione di una scelta professionale ben ponderata per realizzare il cambiamento? Ne è rimasta delusa?

In realtà mi ero già impegnata, negli anni dell’Università, all’interno di gruppi di sinistra, poi, nei primi anni in cui lavoravo, ho aderito ai gruppi femministi: quindi avevo avuto per diversi anni un impegno politico attivo anche se non nei partiti tradizionali.

A un certo punto ho ritenuto di dover portare avanti il mio impegno politico dedicandomi a questa professione sempre nel pubblico. Ho fatto anche tanta ricerca all’Università, pubblicazioni, congressi, tanta didattica con gli studenti di ostetricia e medicina, e quindi ho ritenuto che questo potesse trasformarsi in impegno politico, poiché ha significato portare avanti certi ragionamenti su come sostenere la donna nel campo dell’ostetricia.

Di fatto alcune cose sono riuscita a svilupparle, mentre su altre ci sono stati degli sbarramenti e delle difficoltà. Avevo aderito a MDP Articolo 1 quando era stato fondato, e quando mi hanno chiesto di partecipare al cartello elettorale di LEU ho pensato che fosse il momento giusto.

Chiaramente non potevo essere eletta in un piccolo partito come quello, ma è stata una bella esperienza e sono stata contenta del mio risultato poiché ho ottenuto quasi 18mila voti. La mia intenzione era quella di impegnarmi molto e di spostare l’impegno che avevo sviluppato nel campo della sanità sul versante politico.

In una intervista rilasciata durante la campagna elettorale, appariva come favorevole alla chiusura dei piccoli presidi ospedalieri. Cosa che sembra impopolare, quindi non utile ad attrarre voti.

È davvero così, dott.ssa Todros? Se sì, perché?

A livello nazionale con l’accordo Stato Regione del 2010 uno degli obiettivi che venivano posti rispetto al settore materno-infantile era quello di chiudere i presidi ospedalieri di ostetricia (detti “punti nascita”) in cui partoriscono meno di 500 donne all’anno:

io credo che questo sia giusto perché di fatto, come per tutte le cose, l’assistenza al parto comporta una pratica importante e una certa quotidianità.

Per tenere aperto un punto nascita che faccia ad esempio 365 parti l’anno (uno al giorno) e per poter garantire un’assistenza 24 ore su 24 alle pazienti, minimo sono necessarie 10 ostetriche e 7 o 8 medici per una questione di turni e monte ore, il che significa che ogni ostetrica assisterebbe 1 o 2 parti al mese. Come si fa ad avere l’esperienza necessaria assistendo così pochi parti? E parti di donne che possono stare bene oppure avere delle patologie?

Diverso è se parliamo di Centri Nascita, luoghi in genere situati all’interno di un ospedale, dedicati alle gravidanze che non hanno fattori di rischio (c’è una selezione molto accurata per escludere tutti i parti a rischio), dove l’obiettivo è di supportare la normalità della gravidanza e del parto. Questo è un modello organizzativo ancora poco diffuso in Italia. Al momento ci sono 3 Centri: Genova, Firenze e Torino. Quest’ultimo è nato al Sant’Anna nel 2015 e sono molto fiera di aver contribuito, credo in modo determinante, alla sua nascita ed alla sua crescita.

 

Prima di salutarci chiacchieriamo di qualcosa di più leggero. Il libro “Sessantottine”, uscito lo scorso marzo, parla delle esperienze di alcune donne di età diverse che hanno vissuto il ’68, tra cui proprio Tullia Todros. Ognuna di loro ha riportato le sue riflessioni rispetto a quel periodo.

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E dal confronto tra ieri e oggi tutte concordano – e concordiamo anche noi – sulla presenza ancora scarsa delle donne in molti ambiti professionali e non solo.

Certo è che la Dott.ssa Todros è un esempio di impegno appassionato nello studio, nel lavoro e nella ricerca… Chissà che non ispiri qualche nostra giovane lettrice.

 

Lucia Giannini e Luciana Spina

 

 

Redazione

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