Maschera: la chiamo per prendere posto in teatro, la indosso ad Halloween oppure a Carnevale e la faccio di argilla per prendermi cura della pelle. Siamo così abituati a non rivelare la nostra vera identità, le nostre intenzioni, paure o debolezze, che ormai abbiamo sempre una maschera addosso.
Ci nascondiamo nelle chat, ci rifugiamo nel nostro alter ego, bellissimo, sicuro, spregiudicato ed emancipato.
Dietro ad un vestito cucito su misura, mascheriamo la nostra anima, apriamo il cassettino del nostro lato C, D, E cominciando la recita. Mille personalità contenute in un unico corpo, che fa fatica a reggere il gioco.
In inglese si dice “to play”, che significa anche giocare. Infatti recitare dovrebbe essere un gioco. L’abitudine a mostrarci come dovremmo essere o come ci vorrebbero ci rende schiavi. Così il gioco si trasforma presto in un nascondiglio, per celare il nostro vero io.
Una maschera per una finta perfezione
La società ci spinge a nascondere le nostre caratteristiche “difettose“, per essere accettati.
Base, fondotinta, terra, fard, correttore occhiaie, crema per le macchie. Bustini contenitivi, calze coprenti, pantaloni elasticizzati modellanti. Strati su strati, barriere che ci allontanano dalla realtà.
“Piacere Lucia” … ma sono ancora io?
I segni del tempo che passa non sono graditi a tutti, d’altronde un viso fresco e giovane è più interessante. Un corpo perfetto (almeno all’apparenza) attira di più. Una parlantina spigliata colpisce, uno sguardo ammaliante seduce, il savoir-faire conquista. E allora su la maschera, per sembrare sempre adatti. Ma adatti per chi? Per cosa? Non ho niente contro la cura del corpo, ma andrebbe prestata maggiore attenzione all’anima. Dovremmo riuscire a vivere più liberi dal giudizio degli altri e non affidare la nostra difesa e la nostra protezione ad una maschera.
La particolarità dovrebbe renderci unici e non soli, diversi e non sbagliati. La perfezione non ci appartiene.
Nonostante tutti i nostri sforzi ci sarà sempre qualcuno che non gradirà il nostro aspetto, il nostro modo di fare, le nostre idee, il nostro carattere.
Spinti e convinti dalle “regole” della società, vorremmo non essere noi. Ci stampiamo un sorriso in faccia (sì, un bel sorriso permanente, da ebete), cerchiamo di essere sempre accondiscendenti, propositivi, instancabili, simpatici e ci lanciamo in pista.
Chi resta quando togliamo la maschera?
Sentiamo i fili che ci tirano su le braccia e ci fanno muovere le gambe, ci trasformiamo in burattini. Alla sera però, quando torniamo a casa, nel nostro intimo nascondiglio, smontiamo le strutture e ci spogliamo di tutto, ci guardiamo allo specchio e spesso non ci riconosciamo.
Quell’identità nascosta per tanto tempo sta sbiadendo e rischia di sparire. Sotto alla maschera non c‘è più un viso, ma la caratterizzazione di un personaggio, creato su misura, per piacere. Noi siamo le nostre parole, ma soprattutto le nostre azioni, senza fili nè voce del suggeritore.
Giù la maschera, prima che sia troppo tardi, prima di perdersi e di non ritrovarsi più.